Il sentiero dei figli orfani – Giovanni Capurso

di Pino Cotarelli

Giovanni Capurso autore del romanzo di formazione dal titolo “Il sentiero dei figli orfani” (204 pagine, euro 14,00), edito da Alter Ego (società editoriale fondata nel 2012 a Viterbo da Danilo Bultrini e Luca Verduchi), racconta l’infanzia di un ragazzo di San Fele in Lucania, Savino Chieco, che riemerge dai ricordi di Savino ormai adulto, mentre ripercorre le strade per raggiungere il suo paese nei periodici ritorni alle radici. Un ritorno anche per comprendere sempre più il senso delle scelte che lo hanno portato lontano dalla sua terra natale per una realtà che era diventata insufficiente per la voglia di conoscenza e di esperienza tipica dell’esuberante età giovanile. Un paese che già pensava di lasciare nel futuro e del quale si sentiva già orfano. Una necessità che avanzava prepotente nella vita spensierata e disinvolta di Savino fatta di lunghe passeggiate con l’amico “Anguilla” per sentieri riscoperti ogni volta, di corse sulle cime da cui osservare i paesi sottostanti che apparivano come presepi, di faccende affidatagli dal padre con calorose raccomandazioni per non trascurare la riscossione del pagamento, di consegne di generi alimentari ad Adamo, misterioso personaggio proveniente da Milano, che diventerà suo riferimento, in quanto capace di allargare le sue conoscenze e di rispondere ai suoi interrogativi. Savino è spinto da un carattere coraggioso, capace di iniziativa; un’intraprendenza caratteristica di una gioventù curiosa, che vuole crescere; una intemperanza che si acuisce ancona di più con la morte della nonna tanto amata e con la delusione del primo amore sfuggitogli per inesperienza e timidezza. 

Un romanzo in cui insieme alle caratteristiche psicologiche dei vari personaggi, la madre, il padre, gli zii, il fratello Aldo, con il quale è sempre in conflitto, vengono esaltate le influenze che queste hanno sul carattere di Savino. Particolare e ombrosa la personalità di Adamo che finirà per influire sulla crescita del ragazzo, già capace di cogliere i lati buoni di quell’uomo dal passato trascorso in carcere. Un finale inaspettato tinge di giallo una storia che sembrava correre sul filo della tranquillità, in un paese in cui la tranquillità e fin troppa. Una lettura che induce il lettore a riflettere, ancora una volta se non bastasse, su come tanti ragazzi come Savino, hanno dovuto sacrificare la propria appartenenza al territorio amato, per cercare altrove la propria realizzazione. Un richiamo alle radici, che ripresenta ogni volta le ragioni dell’allontanamento e che, nonostante un futuro finalmente realizzato, non potrà sottacere la mancanza di tutto quello che si è abbandonato.

-Come nasce questo romanzo? 
Il protagonista Savino scala i sentieri del suo paese adagiato come una farfalla su un monte come si scala la vita. Mi è sembrata una metafora efficace per spiegare come il cammino della nostra vita porti prima o poi alla possibilità di trovarci soli dianzi alle nostre scelte. E quest’ultimo aspetto, quello della responsabilità, è il confine sottile che separa la giovinezza dalla vita adulta.

-Causale l’ambientazione in San Fele della Lucania degli anni Novanta?  
Tra tutti i luoghi che potevo scegliere, San Fele sicuramente mi sembrava il più ancestrale e il più evocativo. Con le sue tradizioni, i suoi paesaggi e i suoi personaggi ne dà quasi l’idea di un locus amoenusun luogo che non ha ancora subìto completamente la corruzione e il degrado della società postmoderna. La storia si concentra anche su questo scontro/incontro tra due modelli di vita alternativi.
Oggi, nonostante non siano passati tanti anni, ci troviamo in una società pienamente globalizzata: la diffusione dei social permette lo scambio rapido di informazioni e idee. Le persone condividono opinioni, credenze, linguaggi, valori e antivalori. Abbiamo una società molto più aperta, ma con il rischio di illudersi di poter fare a meno dei propri riferimenti identitari come accade a Savino.
Così rispetto ai tradizionali romanzi di formazione, questo ribalta il punto di vista: non parte da un dramma personale capace magari di evolversi in situazioni migliori, ma dalla descrizione di un mondo come potrebbe essere senza le sovrastrutture inutili della società odierna.

-Una storia semplice con l’obiettivo principale di mettere in risalto i caratteri psicologici dei vari personaggi e i passaggi formativi essenziali dell’infanzia di Savino?
Indubbiamente, una delle caratteristiche del romanzo è la forte sottolineatura dei tratti psicologici dei personaggi.
Il mio intento è stato anche quello di evidenziare la lotta interiore dei personaggi divisi tra luce e oscurità, bene e male. Lo stesso protagonista Savino è conteso tra il “demone della malinconia” instillato dal padre, il “demone del dubbio” ereditato dallo zio e una sorta di “demone della libertà” veicolato da Adamo, un altro personaggio fondamentale della storia.

-Savino diverso dai tanti giovani che, pur amando il luogo dove nascono, devono abbandonarlo per un futuro migliore e più probabile, ma lui vuole qualcosa di più?
Certamente: il romanzo è anche e soprattutto ispirato a un mondo giovanile che ancor oggi è costretto ad andare via dalla propria terra perché non torva opportunità lavorative. Il tema dell’“essere orfani” all’inizio può generare un moto di pena, ma credo possa diventare anche un invito ad entrare nello “spirito della complessità” come dice Milan Kundera. In particolare, il lemma orfani indica la sofferenza di chi è costretto ad andar via dalla propria terra d’origine per costruirsi un’identità altrove. 
Quest’anno per esempio c’è Matera 2019 e sta attirando molti turisti. Vedo uno sforzo per rivalutare determinati territori, ma si tratta di decidere se volgiamo un progresso  con le sue contraddizioni, oppure volgiamo che luoghi come quelli della Lucania rimangano intatti nella loro naturalezza.  Da questo punto di vista sono un po’ romantico. Tuttavia credo si possa trovare un punto d’incontro tra le due esigenze per permettere ai giovani di trovare nuove opportunità nel loro territorio.

-Ma c’è anche chi accetta la quotidianità del paese come nel caso dello zio Gaetano, del padre Michele e non solo?
Quello che alla fine può sembrare una deminutio all’inizio alla fine si trasforma in un valore.  Il romanzo potremmo anche definirlo una sorta di elogio delle virtù quotidiane.

-Utili per Savino i ritorni periodici al suo paese? Un ritorno alle radici affinché si rafforzi il senso di appartenenza dopo gli anni in cui Savino si sente orfano nella propria terra?
A distanza di alcuni anni, Savino diventato adulto, ha scelto come molti abitanti della sua terra capace di “lasciare orfani” i propri figli, la via dell’abbandono per cercare altrove la propria vocazione. Durante il ritorno per il trigesimo di suo padre rivive in maniera nostalgica il suo passato come riscoperta delle proprie radici.  In un momento di crisi esistenziale rivaluta quei valori che un tempo aveva disprezzato.  È dunque un romanzo circolare, non solo nello stile letterario, ma anche nell’aspetto psicologico perché spiega come il nostro presente è sempre il risultato spesso contraddittorio del nostro passato. Il passato in tal senso è un intero che comprende sia aspetti piacevoli che sgradevoli. È quello che dice Gustav Jung utilizzando la metafora dell’ “ombra”: saremo più felici solo quando accetteremo quella parte della nostra personalità dolorosa.

-La descrizione di quanto vissuto da Savino ragazzo può essere alterata dalla visione più matura fatta da Savino adulto? 
Più che altro direi “rivalutata”. Chi è immerso nelle situazioni non si rende conto del loro valore finché non riesce ad allontanarsi da esse per guardarle con distacco. Allora ciò che si è vissuto acquista una luce nuova, catartica.

-Savino seppur fragile nella sua giovinezza dimostra spesso coraggio, incoscienza  e intraprendenza? 
Diciamo che Savino scopre il suo coraggio proprio durante quella estate movimentata. Sono gli eventi in qualche modo ad aprirgli un nuovo orizzonte di pensiero, e quindi a farlo crescere.

-Adamo un riferimento per Savino che riesce a riconoscere la sua parte buona nonostante il passato trascorso in carcere?
Adamo ha un ruolo chiave nella storia ed è certamente il personaggio più ambiguo e misterioso, il padre della ragazza venuta in vacanza a San Fele. Più volte l’ho definito un personaggio archetipico. Da cui la scelta del nome: come nella Genesi è colui che sbaglia, che compie il peccato, ma che cerca di rialzarsi. Nel romanzo dovrebbe essere il cattivo, un alcolizzato, un poco di buono che si è fatto la galera, ma che si rivela dotato di sentimenti profondi. Alcolizzato, poco di buono, che si è fatto il carcere, un “fallito” diremmo noi. Dovrebbe in teoria essere il cattivo della storia e invece si rivela una persona di profonda bontà.

-Quanto incide su Savino la vocazione e il desiderio di entrare in seminario sulle decisioni di allontanarsi dal suo paese?
La scelta religiosa mi è sembrata la più adatta per descrivere il conflitto interiore che è presente nel protagonista soprattutto. Infatti Savino non è neanche certo della sua vocazione. Questo dubbio rimane. Fatto sta che questa scelta gli permette di fuggire da un mondo che comincia a stargli stretto.   
Così il finale rimane sospeso, vissuto in questa ricerca. Ho deciso di mantenere aperta la porta della scelta esistenziale per indicare come nessuna scelta in fondo è mai definitiva.

-Perché Savino si ferma ad una esperienza amorosa superficiale e non va oltre?
Savino è un ragazzo ingenuo, non ha ancora avuto esperienze sentimentali. È un po’ l’atteggiamento che abbiamo avuto tutti noi al primo innamoramento. 
Anche se gli adolescenti di oggi sono generalmente più precoci e smaliziati, credo di aver dato un’idea esatta di come poteva approcciarsi un ragazzino di un periodo molto diverso anche se non molto lontano. Il contesto in cui vive credo faccia il resto: non lo aiuta ad emanciparsi. 

-Hai prodotto altre pubblicazioni senza nessuna relazione con questa?
Ho pubblicato anche diversi studi e articoli filosofici, soprattutto su riviste specializzate. Ma ciò che ha impegnato maggiormente il mio sforzo sono i romanzi di formazione. Il motivo è semplice: da professore di Filosofia condivido l’idea di Platone secondo cui attraverso la narrazione (data anche dal mito) sia possibile trasmettere un messaggio altrimenti difficile da comprendere. Un romanzo ha valore nel momento in cui genera una tensione etica o apre una riflessione morale. Oggi purtroppo la letteratura è invece sempre più orientata all’intrattenimento, chiara conseguenza della mentalità consumistica. Ma questa è un’altra storia.

-Altre pubblicazioni in programma?
Da un annetto sto lavorando  a un nuovo romanzo dove sono ben presenti i temi legati all’impegno sociale e civile. Il protagonista questa volta è una donna. Inoltre ho in fase conclusiva un piccolo saggio filosofico, ma non è detto che lo pubblichi per primo.

Giovanni Capurso è nato a Molfetta nel 1978. È docente di Filosofia e Storia, giornalista e scrittore. Ha pubblicato i romanzi di formazione Nessun giorno è l’ultimo (Curcio Editore, 2015), La vita dei pesci (Manni Editori, 2017) e Il sentiero dei figli orfani (Alter Ego Edizioni, 2019). Scrive regolarmente per vari periodici e blog.



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