STUPIDARIO LINGUISTICO: RIBADIRE IN RETE O IN GOL


di Luciano Galassi 



Tutti gli appassionati del gioco del calcio, e sono tanti, sicuramente ricordano Sandro Ciotti, il compianto cronista sportivo della RAI che era dotato di una raffinata tecnica espressiva attraverso la quale componeva  “pezzi” mai banali, sorretti sempre da una fluenza discorsiva frutto di una grande padronanza della lingua italiana.

Dai campi di gioco, collegati con lo studio centrale, effettuava le cronache con innata eleganza ed un’ombra appena di aristocratico distacco, il che ne impreziosiva gli interventi, quasi rivestendoli di una superiore aura di verità calcistica. Molti suoi colleghi tentavano invano di imitarlo e ripiegavano sul riutilizzo delle più felici espressioni che egli diffondeva con l’inconfondibile voce roca i cui toni a volte scivolavano in caratteristiche fessurazioni foniche.

E così, espressioni come “l’occasione sfuma” o “le punte non sono confortate da un’adeguata assistenza del centro campo” o “la conclusione è da dimenticare” o “vanifica lo sforzo” divennero, grazie a lui, patrimonio di chiunque, dal bordo del campo o in tribuna stampa, riferiva agli ascoltatori l’andamento di una partita di calcio.

Una volta ˗ durante la cronaca di una gara del campionato di serie A ˗   Sandro Ciotti descrisse un’azione convulsa in area di rigore, nel corso della quale un centravanti, a pochi passi dalla porta avversaria, tirò colpendo il palo interno: la palla di rimbalzo ballonzolò andando a colpire l’altro palo interno e in questo percorso forse superò la linea bianca e forse no: in tali casi incerti l’arbitro non concedeva mai la rete. Il cronista ebbe l’impressione che la palla fosse andata oltre (e quindi il gol andava assegnato), ma l’arbitro si mostrò appunto incerto e, pur portando il fischietto alla bocca, non emise alcun sibilo. 

Il giocatore che aveva effettuato il tiro alzò un braccio per reclamare la concessione della rete, con ciò desistendo dalla sua azione, che avrebbe invece dovuto proseguire in ogni caso. Sta di fatto che un suo compagno di squadra, che l’affiancava, si avventò sul pallone e, sorprendendo tutti, anche i compagni, lo scagliò con violenza nella rete: stavolta era gol, senza alcun dubbio. 

Ciotti, a questo epilogo, si espresse più o meno così: “la mezz’ala destra con rapidità si getta sulla sfera e ribadisce a rete”, con ciò intendendo che forse l’arbitro, consultandosi col guardalinee, avrebbe anche potuto concedere il punto (ma ciò, come detto, era improbabile), e bene aveva fatto quindi la mezzala a “ribadire” a rete, a confermare cioè il punto medesimo a favore della propria squadra, eliminando con il suo fulmineo tiro in porta ogni incertezza e discussione.

L’espressione piacque tanto che si cominciò ad usarla in tutti i casi in cui,  sotto la porta avversaria, si verificava un’azione confusa, con batti e ribatti della sfera, fino a che un giocatore della squadra attaccante non trovava il tempo di scagliarla in rete con uno scatto fulmineo e inaspettato, una giocata improvvisa e veloce, magari provenendo dalle “retrovie”, spingendo di lato i suoi stessi compagni. E ciò, si badi, anche se non c’era stata in precedenza alcuna fase di gioco che rendesse dubbia e problematica l’assegnazione del punto né la palla si era mai avvicinata alla linea di porta avversaria. Insomma, da allora, i cronisti continuano ad esprimersi in tal modo tutte le volte che viene segnato un gol con un tiro scoccato, nell’immediatezza di tale linea, a conclusione di una giocata lesta, improvvisa, magari  “di rapina”, risolutiva di una fase ingarbugliata e convulsa, con molti giocatori impegnati a contendersi la palla oppure quando la palla colpisce un palo, o viene respinta dal portiere, e ritorna in campo qualche metro più lontano: il giocatore della squadra attaccante, che con prontezza di riflessi e velocità d’esecuzione la riprende e la mette in rete, fa immediatamente esclamare al cronista: “Il tale ribadisce in rete”.

Ma in un simile contesto il verbo “ribadire” è usato del tutto a sproposito.

Cerchiamo di definirne l’esatto significato servendoci di un buon dizionario: il mio inseparabile Palazzi precisa: “piegare a colpi di martello la punta del chiodo confitto in un corpo e uscita dall’altra parte, affinché il chiodo faccia maggiore presa”; da qui il senso traslato di “rafforzare”, “confermare”.  

Anche il Devoto-Oli  ˗ che, se al giorno d’oggi non lo citi, non sei nessuno ˗  ci conforta: “confermare decisamente”, “riconfermare”.

Insomma, si può ribadire ciò che già c’è o c’è stato (un’azione, una frase, un’idea) e lapalissianamente non si può ribadire ciò che non è mai esistito:  quindi, il calciatore che depone la palla in rete con azione lesta e rapinosa   compie quel gesto per la prima, unica ed irripetibile volta; non può assolutamente “ribadirla”, ma semplicemente compierla. È così: né lui né altri potranno mai “ribadirla”.

Altra “perla” snocciolata negli ultimi anni dai telecronisti di calcio è quella relativa alla disposizione tattica in campo  ˗ più avanzata o più arretrata ˗ dei propri calciatori: ebbene, in tali casi, si dice che la squadra ha alzato o abbassato il proprio baricentro, a intendere appunto la semplice altezza del punto “mediale” della squadra stessa nel rettangolo di gioco.

Mai parola fu usata più a sproposito perché il baricentro, in fisica e in meccanica,  è il punto di applicazione della forza gravitazionale in un corpo o in un sistema di corpi, vale a dire il punto in cui si può pensare concentrata la massa di un corpo e, quindi, è il centro di gravità, il centro di massa.

È termine che si usa più correntemente in meteorologia in riferimento a fenomeni di pressione atmosferica, come ad esempio: “la cella temporalesca sta muovendo il suo baricentro molto lentamente verso est”.

Si potrebbe obiettare che si tratta di un uso metaforico della parola, ma anche figuratamente ha solo il significato di “punto centrale o nòcciolo” di una questione e più genericamente di “centro, cuore, fulcro, nodo, nucleo di una cosa”.

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Luciano Galassi, dirigente d’azienda a riposo, è appassionato di enigmistica, letteratura italiana del ’900 e napoletanistica. Tiene corsi di lingua spagnola di base presso la sede di Napoli dell’Associazione Nazionale 50&PIÙ, di cui è anche membro del Consiglio Direttivo, presso la sede UNITRE di Napoli-Piazza Immacolata, di cui è anche Vice Presidente, e presso l’Associazione Culturale vomerese Eurios. Nel 2013 si è classificato primo, per la Sezione “Lingua”, al Premio di Poesia “Raffaele Viviani” e nell’ottobre del 2015 l’Accademia di Alta Cultura “Europa 2000” gli ha conferito la Targa d’Onore Accademica per la cultura.

Con la casa editrice Kairós ha pubblicato: nella collana di saggistica “All’ombra del vulcano”, i testi ’O mellone chino ’e fuoco, Acqua ’e maggio, Le zandraglie, Mannaggia Bubbà, Asso ’e coppe, Chianette e carocchie, Cucozze e caracazze, Figlio ’e ’ntrocchia, Nonna nonna, nunnarella;  nella collana di narrativa “Storie di Megaride”, la raccolta di racconti Sigma più; nella collana di narrativa “Sherazade”, la sìlloge di racconti Venere all’incanto e il romanzo 101 sfumature di eros.

Nel 2015 per Guida-Kairós sono usciti Salùtame a sòreta e la nuova edizione, riveduta e ampliata, di Wellerismi napoletani.


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