STUPIDARIO LINGUISTICO: CATASTROFE UMANITARIA O… CATASTROFE LINGUISTICA?
di Luciano Galassi
La parola catàstrofe deriva dal greco katastrofé
(rivolgimento o capovolgimento) ed era propriamente la parte finale della
tragedia greca in cui si scioglieva l’azione, di solito in forma luttuosa; da
qui il termine finì con l’assumere il significato di “esito disastroso e
imprevisto di un avvenimento”, “sciagura
grave e improvvisa che porta un mutamento sventurato in un popolo, in una
famiglia ecc.”, “disgrazia”, “cataclisma”.
Quindi, qualsiasi calamità naturale di grande
intensità (eruzioni vulcaniche, terremoti, inondazioni, alluvioni, maremoti,
incendi, temperature altissime, migrazioni di locuste, tifoni, uragani, siccità
ecc.) è una catastrofe ed, in quanto tale, determina conseguenze terribili
sulle popolazioni colpite, le quali pertanto sono esposte a disagi, sofferenze,
privazioni, bisogni, tormenti, angosce, tribolazioni e via dicendo.
Di per sé quindi il lemma “catastrofe” evoca
e significa un fenomeno naturale negativo, portatore di lutti e sofferenze alle
persone che, trovandosi nell’area di diffusione dell’evento, patiscono una
grave condizione di pericolo per la loro incolumità e sopravvivenza. A tale
situazione la lingua italiana dà un nome ben preciso: emergenza,
con le derivate locuzioni “caso di
emergenza” e “stato
di emergenza”.
Abbiamo quindi
fissato un punto importante: una “catastrofe” (cioè un evento naturale
dannoso) determina per le popolazioni interessate una “emergenza”, ma non è
essa stessa l’emergenza; è l’evento causale, non l’effetto.
E adesso veniamo alle ragioni per cui ci stiamo occupando di una simile
questione nello “stupidario
linguistico”: non sappiamo chi sia stato per primo - in televisione o sui giornali - ad usare l’espressione “catastrofe umanitaria” per intendere
un’emergenza interessante una determinata popolazione in conseguenza del
verificarsi di una specifica calamità od evento negativo. Forse intendeva distinguerla da un altro tipo
di catastrofe (ma, ancor meglio, emergenza) che troppo spesso affligge il
nostro pianeta, quella “ambientale” o “ecologica” che dir si voglia, in
conseguenza - ad esempio - di navi di grosso tonnellaggio che per un’avaria
riversano in mare il loro ingente carico di petrolio o di altre sostanze
inquinanti.
Sta di fatto che, come assetati che nel deserto
si lanciano ad afferrare un otre pieno d’acqua, moltissimi - troppi - operatori
dell’informazione hanno fatto un abuso di una simile locuzione che è erronea e
sciocca, per due ordini di motivi:
a) abbiamo già visto che la catastrofe è
l’evento causale e non l’effetto;
ma qui l’aberrazione lessicale potrebbe anch’essere tollerata
assimilandola caritatevolmente alla figura retorica della “metonìmia”.
b) “umanitario” è un
aggettivo che significa: “conforme ai sentimenti umani di bontà, di pietà e
simili”, “chi o che tende a lenire le
sofferenze e migliorare le condizioni di vita dell’umanità”, “improntato
all’esigenza di apportare un progresso alla condizione umana dal punto di vista
economico, etico e sociale; filantropico”.
Alla luce
di tutto ciò ci chiediamo:
COME PUÒ UNA
CATASTROFE ESSERE
“UMANITARIA”?
Dovremmo, se mai, dire esattamente il contrario:
che cioè è malvagia ed atroce. Solo che
a un fenomeno naturale non possiamo attribuire né volontà né sentimenti né
aggettivazioni antropologiche; e “umanitario” non ha - e non può mai avere - il significato
di “relativo ad esseri umani”.
Ne consegue che l’espressione “catastrofe
umanitaria”:
- è un errore semantico intollerabile, perché contiene un
significato falso dell’aggettivo adoperato;
- è concettualmente ridicola perché attribuisce all’evento
notazioni opposte a quelle veicolate dall’aggettivo qualificante.
Proposta: perché non adoperare l’espressione, corretta, emergenza
civile (come esistono “responsabilità civile” o “coraggio civile”)?
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Luciano Galassi, dirigente d’azienda
a riposo, è appassionato di enigmistica, letteratura italiana del ’900 e
napoletanistica. Tiene corsi di lingua spagnola di base presso la sede di
Napoli dell’Associazione Nazionale 50&PIÙ, di cui è anche membro del
Consiglio Direttivo, presso la sede UNITRE di Napoli-Piazza Immacolata, di cui
è anche Vice Presidente, e presso l’Associazione Culturale vomerese Eurios. Nel
2013 si è classificato primo, per la Sezione “Lingua”, al Premio di Poesia
“Raffaele Viviani” e nell’ottobre del 2015 l’Accademia di Alta Cultura “Europa
2000” gli ha conferito la Targa d’Onore Accademica per la cultura.
Con
la casa editrice Kairós ha pubblicato: nella collana di saggistica “All’ombra
del vulcano”, i testi ’O mellone chino ’e
fuoco, Acqua ’e maggio, Le zandraglie, Mannaggia Bubbà, Asso ’e
coppe, Chianette e carocchie, Cucozze e caracazze, Figlio ’e ’ntrocchia, Nonna nonna, nunnarella; nella collana di narrativa “Storie di
Megaride”, la raccolta di racconti Sigma
più; nella collana di narrativa “Sherazade”, la sìlloge di racconti Venere all’incanto e il romanzo 101 sfumature di eros.
Nel
2015 per Guida-Kairós sono usciti Salùtame
a sòreta e la nuova edizione, riveduta e ampliata, di Wellerismi napoletani.
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