“Una furtiva lacrima” il romanzo di Manlio Santanelli. Bevetelo a pieni sorsi, digerirete la tristezza della vita
Di Luciana Libero
Nel suo sito web Manlio
Santanelli si presenta così: “Ho quattro anni, quando nel porto della mia città
salta in aria una nave carica d’esplosivo, disintegrando tutti i vetri delle
case. Mio padre, medico, ma soprattutto stratega di vaglio, ricorre ad un
collega radiologo che gli fornisce un gran numero di radiografie. Usate,
purtroppo: quelle nuove servono a lui. Le radiografie, applicate alle finestre,
si rivelano sufficientemente protettive contro pioggia e gelo. Ma allo spuntar del
sole pareti e pavimenti si popolano di teschi e casse toraciche, di tibie ed
ossa pelviche d’ogni foggia e patologia. Si parla dell’infanzia come di un
periodo di formazione. E di deformazione no? dico io”. Ecco una prima parola
che ci può servire per illustrare la scrittura e le tematiche di Manlio
Santanelli, la deformazione che, come nel suo teatro, la fa da padrona anche in
questo debutto nella narrativa, “Una furtiva lacrima”, appena uscito per GM
Press editore. Una deformazione, involontaria e tragicomica, che colpisce la
folla di personaggi del romanzo e ripercorrono i teschi, le tibie, le ossa
pelviche alle finestre: come il protagonista che si è recato ad assistere l’amico
morente ricoverato in una clinica di lusso della Normandia e un bel mattino,
per passare il tempo, entra in un negozio di protesi ortopediche e per
giustificare quella visita, inizia a zoppicare
ma poi uscendo si distrae e zoppica con l’altra gamba. Anche qui una alterazione,
del corpo e del comportamento. Sempre lui, mentre divaga sulla caducità della
vita, nel contesto drammatico in cui si trova, stringe amicizia con la bella infermiera
che sembra proprio uscita da un romanzo, così gentile, così colta, e si convince
di avere le sue simpatie e si lascia andare a questa inopportuna sensazione, sentendosi
un po’ in colpa, ma poi scopre, in un perfido colpo di scena, che non è lui che
ama questa Mireille/Mirandolina ma l’altro, l’amico morente. Immaginate, visto
che i due amici si occupano di cinema, di trovare insieme le beffe toscanacce
di “Amici miei”, le donne di Fellini o le atmosfere di Antonioni in questi
paesaggi rarefatti della provincia francese; il cinema bellico dello sbarco in
Normandia, il Foscolo dell’amica risanata, il Pirandello di personaggi che sono
uno e nessuno e quindi centomila, storie, sceneggiature che si incrociano una
sull’altra e ritroverete le tibie e i teschi alla finestra che vi guardano
beffardi. Santanelli non è nuovo alla costruzione di personaggi che si fanno
beffe del dolore della vita e dell’angoscia della morte. Da Pacebbene e Cirillo, Bellavita Carolina,
Regina madre, Antonino e Priscilla, il giacobino e la Janara fino alla Venere
dei terremoti, il suo teatro e la sua scrittura pullulano di personaggi
dall’esistenza alterata; anime inquiete abitanti di luoghi precari che
sussultano di movimenti interiori e si contorcono dentro storie irreali e
infinite; come quella dell’impiegato De Gregorio che andato in pensione non
riesce più a sistemare la sua vita e allora si inventa un ufficio a casa sua
identico a quello dove aveva lavorato per 40 anni: “Finché una notte, mentre il
De Gregorio si contorceva come il Laocoonte – esercizio di difficoltà venti in
quanto richiede all’esecutore di impersonare con disinvoltura i quattro ruoli,
ossia quello dell’omonimo, quello dei due figlioletti, e quello del mostro
marino – una luce squarciò le tenebre della sua ellenistica agitazione. E si abbassò fino a poter guardare attraverso
la toppa di quella porta che non c’era, e quale non fu la sua meraviglia nello
scorgere, incastonati l’uno nell’altro, un numero indecifrabile di uffici come
il suo, tutti arredati allo stesso modo ma, elemento perturbante quanto mai,
tutti occupati da un suo doppio, una sorta di clone intento a imitarlo in
pieno, cioè a non far nulla!?” Siamo dalle parti di una scrittura “laoocontica”
fatta di figure che si contorcono e interpretano tutti i ruoli anche quello del
mostro marino; siamo dalle parti di un flusso ininterrotto di pensieri e
divagazioni, e la furtiva lacrima del titolo del romanzo è anche essa il
caleidoscopio di una beffa infinita: è un jukebox di un bistrot parigino dove con una
moneta si ascolta Donizetti; è la furtiva lacrima sulla guancia di Tarquinio, o
ancora è l’amaro di Mireille che si chiama “una furtiva lacrima”; ma siamo
anche “Ad Ovest di Paperino”, con quei nomi che sembrano usciti da una striscia
di Disney, Tarquinio Follini e Fiero Guadagno, quest’ultimo capitano di lungo
corso in pensione che aveva conosciuto una donna di origine normanna in
crociera, avevano ballato quasi sempre assieme, finché dalla bocca di lei
all’orecchio di lui non era stata depositata una frase del tutto confidenziale,
“Aujourd’hui c’est mon anniversaire” e allora lui aveva ordinato al secondo
ufficiale di far compiere alla nave un giro su se stessa, un po’ come accadeva
in “L’amore al tempo del colera” di Marquez quando la nave sul fiume doveva
viaggiare tutta la vita per Florentino Ariza e Firmina Daza. Infine un ultimo
divertissement, un’ultima “distrazione”, i capitoli “facoltativi” che
intervallano il romanzo, degli “a parte” come nella commedia goldoniana, dove
l’autore svela i retroscena della scrittura, parla direttamente al lettore e suggerisce
di leggerli a scelta, oppure ne fate a meno. E si autocritica: “A questo punto
più di un lettore potrebbe sollevare un’obiezione, Ma questa storia è imbottita
di storie, un uovo di Pasqua pieno di sorprese, noi chiediamo una vicenda che
si snodi unicamente attorno ai personaggi che la vivono sulla propria pelle;
costoro non avrebbero tutti i torti anzi sarebbero nel giusto, ma dovrebbero
anche considerare che i nostri personaggi hanno chi più chi meno vissuto e
continuano a vivere, e la vita è fatta di tante vite una nell’altra”. Se è vero,
come scrive Santanelli in uno dei suoi aforismi che ”passiamo su questa terra
come ospiti ma le condizioni della locanda peggiorano di giorno in giorno”, una
scrittura così allevia i nostri giorni, rende più allegra la locanda, animata
di Mirandoline, Marchesi di Forlinpopoli o Cavalieri di Ripafratta e ci spinge
al sorriso magari un po’ amaro ma ci fa arrivare più sollevati sotto “l’arco di
trionfo della morte”. Allora bevete a pieni sorsi questa “Furtiva lacrima”, digerirete
la tristezza della vita.
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