Una poesia ispirata al moto e ai mondi del mare, attraverso la vita delle diatomee. Dedicata ai naufraghi e ai dispersi…
Ecco cosa è Blu oltremare di Anna Mozzi – Apeiron
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Servizio
di Rita Felerico
Un
dialogo con l’autrice di Blu Oltremare,
Anna Mozzi, scivolato sul suono della
cordialità e di un trasparente desiderio di ascoltare e comunicare. Con alle
spalle una intensa e variegata esperienza professionale, che la vede protagonista
di progetti, studi, ricerche in favore dei più deboli, delle donne, di chi non
ha sempre ‘voce’, la nostra psicoterapeuta, filosofa esistenziale, vicina al
disagio mentale, comportamentale, affettivo, alla sofferenza, ai dolori, torna
alla poesia con dei sorprendenti versi.
Ritornare
indietro, ma per lei non è un guardare al passato con nostalgia, né solo una
modalità per apprendere. È un ritorno alle origini, agli archetipi dei nostri
sentimenti e pensieri. Relativamente ai tempi, l’atteggiamento che crede necessario
per ripensare ad un futuro migliore?
“Il rinvio, il rimando ad un
archè, ad un principio, riporta al
concetto di infinito, al tempo in cui vigeva un’armonia cosmica, un’armonia
ormai persa. In retrotopica la
via del futuro somiglia stranamente a un percorso di corruzione e
degenerazione. Il cammino a ritroso quindi, verso il passato, potrebbe
trasformarsi in un itinerario di purificazione dai danni che il futuro ha
prodotto ogni qual volta si è fatto presente. È come se volessi
ricostruire quell’armonia che ha a che fare con il mare, la bellezza, il pathos,
l’immersione in quel liquido amniotico originario. È un chiaro rimando alla mia
esperienza personale, ma anche un personale presente in ognuno di noi”.
Come
si può dedurre anche dalla dedica scritta all’inizio del libro, quanto
la storia familiare incide sul nostro futuro? Sul nostro modo di guardare e
vivere il mondo?
“Penso proprio che incida e
guidi anche inconsapevolmente il nostro modo di vivere. Riguardare alla mia
storia familiare disseminata di eventi traumatici per me e per i miei cari mi
ha fatto comprendere molto di quello che sono io oggi, le mie debolezze, le mie
empatie. Mia madre ha vissuto, per ragioni familiari, vagabondando in tutta
Italia, ho avuto uno zio disperso in guerra di cui non possediamo le ceneri, ho
avuto un nonno tornato invece dalla guerra con tutti gli onori. E poi le
malattie, quella di mia madre innanzitutto, una donna tenera e allo stesso tempo
un po’ virago, come in parte sono io. Ognuno ha la sua storia costellata di
dolori e gioie… Non bisogna nostalgicamente vivere nel passato, feticizzarlo.
Ma imparare dalla sofferenza questo sì”.
Una
strada oggi difficile da percorrere…
“Oggi non si parla della
sofferenza, la si spettacolarizza piuttosto; viviamo in un mondo anaffettivo,
a-social – riprendendo un concetto di Eco – dove si usa Facebook insanamente.
Non quindi legarsi indissolubilmente al passato; occorre invece affrancarsi dal
passato attraverso la comprensione della storia individuale e attraverso azioni
collettive di liberazione. Le strade
sono due, una è quella della sofferenza/testimonianza in carne ed ossa della
vita (io rivedo nei miei pazienti una parte di me); l’altra è quella della
bellezza che è resistenza, resistenza alla violenza, ai soprusi, come la foresta
amniotica, che rivive nel mare. Mi sono ispirata infatti in questi versi alla
bellezza delle diatomee, scoperte all’interno di un convegno di biologia
marina a cui fui invitata da un amico”.
È
un libro particolare; che tipo di lettore auspica?
“È una poesia ispirata al moto
del mare, ai mondi del mare, nostra fonte di vita primaria; il lettore che
immagino più vicino è colui che avverte la speranza, ingrediente fondamentale
per vivere oggi, dove siamo tutti più vulnerabili. Un lettore capace di
viaggiare, libero dentro. Mi piacerebbe che il libro si usasse come un’arma per
combattere l’anestesia che si respira tutt’intorno a noi”.
Nella
prefazione, Giuseppe Angelo Pizza descrive
il suo poetare “non tanto come rispetto di rime e figure” ma come
atteggiamento, uno stile di vita che comprende anche e soprattutto l’incontro
con l’Altro”. Anche nella prefazione accenni da
psicoterapeuta all’importanza di questa esperienza.
“Condividere, compartecipare,
stare e vivere insieme con. Oggi non si sta insieme, non ci si incontra, presi
come siamo da un moto collettivo. Ma il vero incontro non può essere virtuale;
le parole, il suono della voce possono tradire, ma il viso e l’espressività
mai. Non si può perdere tutto questo”.
Nella
dedica e nella prefazione si parla del mare come simbolo, come strumento di
conoscenza, come utero che genera nuova vita e che al tempo stesso custodisce
la fine della vita. Come scritto, il nostro Mediterraneo è oggi spogliato della
sua vitalità e occorre ‘incontrarsi’ con questa sua nuova identità.
“Infatti, penso ai tanti morti,
ai bambini morti nelle tragedie dei ‘barconi’; questi versi vogliono essere
anche un grido contro la morte della bellezza e questo non può non fare i conti
con azioni e progetti di tutela e di salvaguardia verso l’ambiente. Ecco il
perché della ‘presenza’ delle mie amate
creature, le diatomee”.
Anche
i bellissimi disegni di Francesca Bartalini non sono un commento ai versi; non
illustrano semplicemente, piuttosto – vivendo anche di bellezza e significato
proprio – esprimono la magia dell’incontro con la tua parola.
“I disegni di Francesca sono
come dei cerchi magici, dei mandala, bellissimi. Non sono cornice o commento ai
versi – come lei osserva – ma piccoli mondi capaci di narrarci autonomamente
l’incontro con i miei versi”.
Molte
parole e concetti espressi dai versi rimandano ad una cultura esoterica,
parapsicologica, simbolica; uno dei suoi maestri è stato Emilio Servadio,
fondatore della società italiana di psicoanalisi e parapsicologia. Nel panorama
della cultura contemporanea qual è il peso di questo filone di studi e di
ricerca?
“Viviamo un’epoca di passioni
tristi (come descritto in un libro dello psicoanalista argentino Miguel
Benasayag e dello psichiatra infantile Gérard Schmit) e non credo sia
sovrastimato; alla mia epoca si era in un periodo d’oro (basti ricordare qui
solo il nome di Federico Fellini). Ma è nel nostro DNA, nel nostro genoma, nel
nostro liquido amniotico la nostra intelligenza emotiva, come un dono che si ha
e basta, una dimensione che va valutata in una visione olistica, unitaria ed
equilibrata dell’individuo”.
Ha
in programma un nuovo incontro con la Poesia?
“Sì, in progress. Questo libro è
paragonabile ad una ‘pietra miliare’; mi sento pronta per inaugurare un nuovo
percorso, aprire un nuovo capitolo che si richiami alla ‘palingenesi’. Dobbiamo
rispettarci e soprattutto riamarci”.
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