La ghianda e la spiga - Giuseppe Di Vagno e le origini del Fascismo – In occasione del centenario della morte del giovane politico assassinato il 26 settembre 1921.

di Pino Cotarelli

L’autore Giovanni Capurso, pugliese, giornalista e docente di storia e filosofia, col suo libro dal titolo: “La ghianda e la spiga – Giuseppe Di Vagno e le origini del Fascismo”, edizioni Progedit (160 pagg., euro 13), dopo un’attenta e scrupolosa ricerca, ci riporta i fatti che portarono all’uccisione il 26 settembre 1921, del primo parlamentare italiano vittima del fascismo, l’avvocato e deputato pugliese Giuseppe Di Vagno (1889-1921). Fatti sommersi, ancora oggi, nei meandri della coscienza collettiva, all’ombra dei diversi processi che hanno tentato, senza riuscirci, di legittimare dignità e giustizia dell’uomo che ha sacrificato la propria vita con ostinazione e testardaggine, al riscatto sociale dei lavoratori e in particolare quelli del settore agricolo. Quantomai opportuno appare oggi quindi, il richiamo dell’autore Giovanni Capurso, alla figura di Giuseppe Di Vagno, che a distanza di 100 anni, col suo profilo morale e di impegno civile, riverbera un esempio di instancabile e incorruttibile impegno civile, per le nuove generazioni che sono sempre più smarrite nei riferimenti di una società che promette solo illusori e irraggiungibili traguardi, ma anche per le classi politiche prevalentemente  concentrate sui consensi e meno sui programmi di ampio respiro, rivolti ad un futuro di medio termine. Nella scelta del titolo La ghianda e la spiga, ripreso dall’ultimo articolo di Peppino Di Vagno, La fiaba del grano, l’autore sintetizza il pensiero e l’impegno del giovane politico pugliese: la ghianda che rimane al contadino, frutto di faticose ore di lavoro, la spiga, parte migliore, va a chi sfrutta il sacrificio altrui.

Giuseppe Di Vagno, era unico maschio di una famiglia contadina che lo indirizzò agli studi nel seminario Leone XIII di Conversano, dove da subito amò la storia affascinato dalle rivoluzioni francese e russa che gli apparivano tentativi di ribellione delle masse povere ed oppresse ai privilegi dei pochi. I successivi studi di giurisprudenza all’Università della Sapienza di Roma offrirono a Giuseppe Di Vagno le occasioni di frequentazioni che influirono ulteriormente sul suo pensiero politico. Sempre più interessato agli eventi rivoluzionari, dal socialismo e dal rinato interesse della Chiesa per le grandi questioni sociali, che con Leone XIII, che nella Rerum novarum del 1891, ribadiva la forte avversità al socialismo, ma riconosceva anche la necessità e l’urgenza di pervenire allo sviluppo materiale e morale del popolo. Furono importanti per la sua crescita culturale e politica, anche le lezioni all’università di Cesare Vivante, che evidenziavano la potenzialità del diritto privato nel processo di emancipazione delle classi subalterne, attraverso la difesa della solidarietà sociale, un socialismo giuridico teso alla tutela dei lavoratori. Il giovane Peppino incominciò ad organizzare circoli del movimento giovanile socialista, condividendo antimilitarismo, sindacalismo di ispirazione soreliana e anticlericalismo radicale, temi trattati e sostenuti anche da giornali quali: “La Gioventù Socialista”, “L’Avanguardia”, “La Soffitta”. Laureatosi all’età di ventitré anni venne introdotto da Enrico Ferri già segretario del Psi e direttore dell’”Avanti” con il quale aveva maturato la sua adesione al socialismo militante, presso lo studio di Emilio Fioroni, notissimo penalista.

Un ottimo saggio storico/biografico nel quale l’autore Giovanni Capurso mette in luce, affianco alla particolare predisposizione agli studi del Giovane Di Vagno, l’impegno concreto che profuse per il suo territorio, quando fece ritorno nella sua città natale, in un periodo di forti tensioni sociali ed economiche e di sfruttamento del lavoro nei campi e in presenza di mazzieri al soldo del padronato terriero. Si spese per la sua gente, forte dell’esperienza fatta con la partecipazione ai movimenti giovanili e la maggiore consapevolezza politica e civile maturata con gli studi universitari. Si intratteneva con la gente per strada, discuteva e parlava del lavoro che non c’era, aiutando a difendere i propri diritti nelle aule dei tribunali spesso a titolo gratuito. Una notorietà per la sua particolare sensibilità e per la capacità di parlare in maniera semplice, ai dotti e agli analfabeti. Con un risultato plebiscitario a soli venticinque anni nel giugno 1914, ebbe il mandato a Palazzo San Domenico, per il Consiglio provinciale di Bari. Non condivise il conflitto mondiale del 1914, ma data la giovane età, fu costretto ad arruolarsi prima come soldato semplice e poi come caporale, fu poi congedato per trauma fisico; queste posizioni antimilitariste determinarono il suo internamento nei pressi di Firenze, tra il 1916 e il 1917, un periodo che ebbe anche risvolti positivi, dati i rapporti di amicizia e di collaborazione politica intervenuti con altri intellettuali e dirigenti di primo piano del movimento operaio e contadino, fra cui l’anarchico Andrea Borghi, segretario nazionale dell’Usi, Vasco Vezzana, Luciano Ferro, Armando Pettati, Fernando Garosi e soprattutto il socialista massimalista Mario Trozzi, con cui avrà un aperto confronto, pur non condividendo posizioni estremistiche, un rapporto epistolare sempre sotto il controllo della polizia.

Giuseppe Di Vagno, capiva che il nazionalismo favoriva la politica economica protezionistica che tutelava gli industriali del Nord a svantaggio della produzione tipica del Sud, una posizione condivisa ufficialmente anche dal Partito socialista, unico partito italiano che aveva preso chiaramente posizione contro le barriere doganali.

Pur sapendo di essere sorvegliato dalla polizia, per le sue posizioni considerate disfattiste, decise di partecipare a Firenze nella notte tra il 17 e il 18 novembre 1917, presso lo studio dell’avvocato Mario Trozzi alla riunione, che avvenne all’indomani della sconfitta di Caporetto e della presa del potere in Russia da parte dei bolscevichi di Lenin, che riaccesero la discussione tra le varie anime della sinistra, parteciparono rappresentanti della direzione del Partito, delegati delle più importanti sezioni socialiste del Paese, tra cui Amadeo Bordiga, Antonio Gramsci, Rita Maierotti, Fernando Garosi, Bruno Forchiari, Nicola Bombacci, il vecchio segretario del Psi Costantino Lazzari, il direttore dell’“Avanti!” Giacinto Menotti Serrati, garante dell’unità di tutte le correnti del Partito. Molti quindi gli esponenti della corrente massimalista-rivoluzionaria che si ritrovavano per la prima volta, sfuggendo alla caccia della polizia che aveva l’ordine di impedire il convegno. Tra i nodi da sciogliere c’erano quello legato alla scelta tra l’unità con i riformisti e quello della preparazione di un organismo dirigente del tutto rivoluzionario. Secondo alcuni studiosi, questo incontro fu particolarmente importante in quanto si mossero i primi passi che portarono alla definitiva rottura nel Congresso di Livorno del gennaio 1921. Bastò questo a Di Vagno per essere segnalato ed essere messo sotto processo in applicazione del Decreto Sacchi emanato dal governo italiano il 4 ottobre 1917 “contro i nemici dello spirito patriottico” e “contro i disfattisti” Nel febbraio del 1918 Di Vagno verrà schedato dall’autorità di polizia come socialista e attentamente vigilato nella sua attività politica (Archivio Centrale dello Stato, Ministero degli Interni. Dopo un regolare processo, venne prosciolto dalle accuse, prima dalla Procura regia e poi con la conferma in Cassazione.

Nel maggio 1921 venne eletto in Parlamento, aveva poco più di trent’anni e superò anche Giuseppe Di Vittorio, che successivamente diventò leader del sindacalismo italiano. Il 26 settembre 1921 a Mola di Bari, dove aveva appena tenuto un comizio in cui esortava i vari partiti politici alla pace e maggiore cooperazione, Peppino Di Vagno venne ucciso. Un delitto maturato negli ambienti mazzieri e squadristi che facevano capo a Carodonna, che rappresentò l’apripista definitivo al becero Fascismo, come affermò Filippo Turati fondatore del socialismo italiano.

L’autore, con una descrizione molto documentata, dettagliata e circostanziata, ci fa comprendere, ricostruendo il percorso di vita e dell’impegno politico di Giuseppe Di Vagno, il travaglio dei vari partiti italiani, in particolare quelli di sinistra e l’evoluzione politica che portò all’affermazione del Fascismo in Italia.

Giovanni Capurso è nato a Molfetta (Ba) nel 1978. È docente, scrittore e saggista, attento in particolare alle questioni legate al meridionalismo. Tra le sue pubblicazioni più recenti, ricordiamo i romanzi di formazione. La vita dei pesci (Lecce 2017) e Il sentiero dei figli orfani (Viterbo 2019). Scrive per numerosi periodici e blog culturali.

La Progedit, fondata nel 1997, si è connotata per la sua impronta progettuale e per una forte professionalità al servizio degli autori. Ne sono emblema il logo – un calamaio che si radica e sboccia – e l’acronimo che dà il nome alla casa, mettendo insieme le iniziali di ‘Progetti’ e di ‘Editoriali’.

Le numerose collane hanno ampliato lo spettro degli interessi dal mondo della ricerca e della formazione universitaria – in particolar modo della pedagogia, delle letterature, della storia, dell’architettura e dell’antropologia – alle risorse ambientali, alla saggistica d’attualità, alla narrativa, all’editoria per bambini, alla cultura materiale.

 

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