NON AVRÒ SCAMPO
di Pino Cotarelli
-Come nasce l’idea di questo romanzo e quanto tempo hai impiegato
per realizzarlo?
Nasce da un
debito che avevo con i lettori e con Camilla. Il primo romanzo che ha come
protagonista Maria Camilla Carafa de Asmundiis si chiude con la domanda
legittima: che fine farà la bella e combattiva poliziotta? La domanda ci sta
tutta e non posso spiegarne le ragioni, perché dovrei svelare il finale della
prima indagine dell’allora ispettrice de Asmundiis.
La stesura definitiva è stata lunga per due motivi. Il primo legato a un nuovo inizio da chiarire bene o anche no, e come? Ho fatto diversi tentativi e ho abbandonato più di una strada per seguire quella più semplice: il lettore attento ed esperto intuisce chiaramente che c’è “qualcosa che non va”. Un segreto, che in qualche modo, almeno, in parte svelo. Il secondo motivo è che ho dovuto documentarmi e studiare tanto. Era un argomento difficile, che però mi aveva preso. In tutti i miei libri, tranne in una certa misura nel primo che riguarda Maria Camilla, mi sono sempre interessato di problemi di natura scientifica. Con i romanzi del commissario Lombino, difatti, ho affrontato temi intriganti, e sempre secondo me, interessanti riguardanti la fisica dei primi del Novecento. Quantificando un periodo temporale, direi tranquillamente due anni pieni.
-Hai già uno schema da cui parti per comporre la storia del
giallo, disseminare gli indizi e coinvolgere il lettore nell’investigazione o
nasce progressivamente tutto?
Nel caso
specifico ho necessariamente dovuto preparare degli schemi o se vuoi dei
percorsi possibili, perché il libro era strettamente connesso al lavoro dei
protagonisti: non potevo improvvisare. Uno dei problemi è stato spiegare con
intelligente, spero, ripetitività, e con crescenti approfondimenti aspetti
complicatissimi della lotta al male del secolo. Mi sono quietato quando un caro
amico, che non capisce un accidente di fisica, mi ha assicurato, con tutta la
serietà del caso, che aveva capito. E poi la vicenda è delicata assai. Io ho
una fiducia smisurata nella Fisica, che personalmente ritengo la Scienza. Ma
questo non significa che ho ragione.
Ho, in tutta
onestà, cercato accuratamente di evitare confronti “fratricidi” fra metodiche
per la lotta al cancro, confronti cioè che non fossero strettamente legati a
fatti e conoscenze di natura oggettiva e scientifica. Ovvero confronti che dessero spazio a una
sorta di pregiudizio, delle serie chi è meglio o chi è peggio, a secondo di
interessi o appartenenze. Tutto serve per vincere. Al di là dei miei
convincimenti. Anche con i “Livelli essenziali di assistenza” bisognava essere
precisi e la sindrome di Raynaud ha risolto un po’ di problemi relativi
all’indagine.
Insomma, questa volta ho dovuto fare il bravo. In altre occasioni ho, per così dire, “improvvisato” e lo sviluppo della trama non è stato dettato da nessuna scaletta particolare. Con questo libro non era proprio pensabile.
-C’è attinenza con la
realtà nelle vicende e nei personaggi del giallo?
Napoli “motore
primo” è nell’elenco dei personaggi principali. E non è affatto un caso o una
voglia di spettacolarizzazione o, peggio, la solita solfa irricevibile. No, è
rispetto e gratitudine per una città che mi ha accolto senza se e senza ma, e
mi ha fatto crescere. Tanto. Io sono debitore, e questo è il mio modo, giusto o
sbagliato che sia, di pagare il mio debito. La realtà è Napoli. Per come l’ho
vissuta in questi ultimi quaranta anni, trasfigurata da memorie, ricordi,
immaginario, spettacolarizzazione, inventiva, e il fatidico gioco delle “tre
carte”. Un gioco degli specchi, un’umanità resiliente e impossibile, una
bellezza senza pari, e il contrario di tutto questo.
Se non ricordo male, è stato Derek Raymond a sostenere che il noir deve fare i conti con la realtà e con la realtà più dura, quella del dolore. Con rispetto, conscio dei miei molti limiti e consapevole di non avere scritto un noir, ho cercato di fare mia questa osservazione. Perché il giallo, così non ci sbagliamo, non è letteratura minore ma una letteratura che può dare molto alla comprensione della realtà. L’esempio per me più limpido, negli ultimi anni, è la serie “Millenium”. Ho capito molto di più della società svedese leggendo “Uomini che odiano le donne” che non articoli dotti o qualunque altro saggio. Forse, con i miei libri, qualcuno avrà la possibilità di comprendere, almeno in parte, una città che è un mondo da duemila anni. Una città che io amo, e per ciò stesso ho il diritto di odiare. Sono certo che i cittadini di Partenope capiranno fino in fondo questa mia ultima affermazione.
-Maria Camilla Carafa,
vicecommissaria, col suo aspetto duro tenta di nascondere la sensibilità del
suo mondo interiore?
Non credo, direi di no. Alcuni lettori mi hanno rimproverato perché nel secondo libro con Maria Camilla Carafa protagonista era venuta meno una certa leggerezza, a tratti frivolezza, dovuta alla giovane età e alla sicurezza della condizione economica e di lignaggio suo e, soprattutto, delle sue amiche di sempre, molto presenti nel primo, e che in una certa misura avevano aiutato la soluzione. La vita, però, ha costretto la bella e ricca e coraggiosa ispettrice al dolore e alla sofferenza, a una scelta che non potrà mai più essere cancellata. Camilla ha dovuto fare i conti con una realtà che non lascia spazi a mediazioni magari intelligenti ma assolutamente superflue. Una sorta di sovrastruttura che va bene per analisi sociologiche, a volte indispensabili ma troppo spesso narcise, per una psicologia accademica e sterile, per un umanesimo sempre apprezzabile ma che dovrebbe fare i conti con la violenza e la paura, cosa che quasi mai fa. E poi la morte. Maria Camilla conosce la morte, il grande tabù dei tempi moderni e contemporanei. La morte violenta irrompe nella sua vita e lei accetta a viso aperto la sfida che questa porta con sé. Non si tirerà indietro. La sua sensibilità, il suo senso del bello, la passione per la musica, li riserverà a quella parte di sé stessa, che ancora gelosamente conserva e difende, ai suoi affetti più cari, alla memoria di un amore che l’ha presa totalmente, e non vuole lasciarla. O forse è lei che non vuole lasciarlo andare. Non ancora.
-La pandemia del covid19, può contribuire a cambiare la
priorità delle case farmaceutiche e non far prevalere solo la logica del
profitto?
Non lo so. Sono un docente e un ingegnere chimico, appassionato, come ho detto, di fisica. Mi piace nei miei libri divulgare essere, nel mio piccolo, una sorta di “levatrice” di cultura. Venia e considerazione. Così anche in “Non avrò scampo” sempre la fisica, ma questa volta non discussioni più o meno, meno direi, dotte, ma la concreta possibilità di salvare vite. Un mondo nuovo e affascinante. Che non poteva e non può, a mio modesto parere, non entrare a gamba tesa in un ambiente consolidato, anche, io penso, in termini di interessi economici, cioè quello degli altri trattamenti, senz’altro, ed è un riconoscimento sincero e documentato, in molti casi affidabili ed efficaci.
-Progetti editoriali
futuri?
Sono ritornato
con un altro libro, che da poco ho terminato di scrivere, al mio personaggio
Arcangelo, Lino per gli amici, Lombino. “I confini del sangue”, questo il
titolo. Secondo me è un buon libro, ma ovviamente non spetta a me giudicare. Ho
detto il mio personaggio perché, Lombino secondo alcuni è il mio alter ego,
secondo altri il risparmio cospicuo di uno strizzacervelli. In quanto a Maria
Camilla ho cominciato a scrivere la terza indagine. Ha un titolo, per il
momento provvisorio, o forse no, "Verrà dicembre, e morirai".
Il primo motivo
per il quale ho deciso per questo nuovo e, prevedo, assai faticoso divertissement,
è che sia assolutamente necessario ― è la mia stessa profonda convinzione nella
maggiore efficacia degli acceleratori che lo impone ― approfondire il confronto
fra i trattamenti farmacologici, la chemioterapia cioè, e le nuove frontiere
della Fisica nucleare per la lotta, si spera vincente, alle terribili patologie
tumorali. Non si tratta ovviamente, e non sarebbe nemmeno il caso di
precisarlo, o di ripeterlo, ma prudenza e saggezza lo impongono, quindi
conviene farlo, di scegliere per l’una o per l’altra metodica in funzione di
lotte per bande e, pertanto, in nome di interessi non sempre confessabili. Ma, of
course, in nome e per conto di efficienza e di validità nonché di una visione
organica e prospettica della lotta a quella, che non a caso, è stata definita
“la malattia del secolo”. Tutto questo apre, e mi piace intenderlo come un’inedita
accezione positiva, un interessante vaso di Pandora sulla salute, in quanto
bene pubblico irrinunciabile e inalienabile, sulla ricerca e i suoi
finanziamenti, sulla politica. In definitiva, sul nostro futuro e su quello
delle nuove generazioni.
Il secondo motivo è Camilla. Che giustizia e legge spesso non coincidono, è certezza schietta della bella vice. E di chi scrive. Ma uno sbirro, per quanto sbirro, sa che non è la misura di sé stesso il metro per giudicare. Camilla lo sa. Non è “L’infernale Quinlan”, tutt’altro. Ha un conto in sospeso con la legge, quella stessa legge che ha deciso di difendere. Lo deve pagare. Lo pagherà.
Vito Rosario Ferrone è lucano d’origine e napoletano di adozione, è laureato in
Ingegneria Chimica ed è abilitato alla professione di Ingegnere.
Ordinario di Chimica e Tecnologie chimiche presso l’I.T.I.S. “Elena di
Savoia” di Napoli, ha al suo attivo esperienze di lavoro nel campo della ricerca
applicata, della formazione e della sicurezza industriale. Ha al suo attivo le
seguenti pubblicazioni:
Nucleo centrale, Arduino Sacco Editore;
Immobilità
centrale, Youcanprint self publishing;
Relatività centrale, Arduino Sacco Editore;
Assenza centrale, Youcanprint
self publishing;
Napoli è
centrale, Youcanprint selfpublishing;
Centrale, Youcanprint
self publishing;
Aveva ancora i capelli bagnati, Robin edizioni.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Commenti
Posta un commento